Quando il voto diventa un brand: il successo di Chega

Le elezioni legislative del 2025 hanno portato un fatto inevitabile nella riflessione politica e sociale in Portogallo: Chega ha ormai una presenza sempre più espressiva nell'Assemblea della Repubblica. In soli sei anni, dalle elezioni legislative del 2019, il partito è passato da circa 67 mila voti a più di 1 milione e 340 mila. Più che una vittoria numerica, si è trattato di una vittoria simbolica — e inquietante — per un brand politico che ha saputo costruirsi notorietà, identità e appeal emotivo, a prescindere dai valori che veicola. In quanto professore di istruzione superiore e cittadino che crede nella democrazia, sono profondamente preoccupato per questo risultato. Ma in quanto insegnante di branding e comunicazione, riconosco che può (e deve) essere analizzato anche alla luce degli strumenti che utilizziamo per comprendere i marchi di successo. Uno di questi strumenti è il modello Brand Equity Ten di David Aaker.
Aaker propone dieci dimensioni che aiutano a valutare il valore di un marchio. E, cosa sconcertante, Chega risponde positivamente a molte di queste domande. Il primo è la notorietà del marchio: Chega è diventato onnipresente nel dibattito pubblico. Grazie al suo leader carismatico, André Ventura, il partito domina i cicli mediatici e stabilisce le agende, anche quando gli argomenti sono controversi o divisivi. Il suo messaggio chiaro (seppur semplicistico) è anche coerente e facilmente replicabile, il che rafforza il riconoscimento del marchio.
La seconda dimensione rilevante è la percezione della qualità. Non in senso tecnico o morale, ma nel senso di “efficacia” che molti elettori riconoscono: dicono “la verità”, “si oppongono al sistema”, “non hanno paura di nessuno”. Questa percezione soggettiva è una risorsa potente che contribuisce al capitale del marchio politico.
Il terzo è la lealtà. Una parte dell'elettorato di Chega resta fedele anche di fronte agli scandali o alle critiche, in una logica emotiva più vicina all'appartenenza che alla ragione. E poi ci sono le associazioni di marca , un'altra dimensione del modello. Chega ha costruito forti associazioni con idee quali sicurezza, immigrazione, giustizia, ordine e "voce del popolo", temi che, se ben sviluppati, raggiungono anche un pubblico disilluso dalle alternative.
Questa efficacia della comunicazione è tanto più preoccupante quanto più essa è slegata dalla sostanza democratica. Molti dei suoi sostenitori più giovani non hanno mai vissuto sotto una dittatura e non riconoscono come minacciose alcune proposte che, nella loro forma e nel loro contenuto, contrastano con i principi di uguaglianza, libertà e inclusione. D'altro canto, c'è una frangia della società che vota "per ciò che è contro il sistema" e per decenni questo ha significato votare comunista. Oggi, essere contro il sistema significa, paradossalmente, votare Chega.
Un altro aspetto cruciale è il passaparola. La presenza di Chega sui social media, nei gruppi WhatsApp, nei bar e perfino nelle aule scolastiche è intensa. Molti elettori non dichiarano pubblicamente il loro voto, ma il numero reale non mente. Questo effetto “ marchio underground” rafforza il fascino di trovarsi dalla parte “proibita”, che è anch’esso parte della costruzione di un marchio con valore emozionale, anche se pericolosamente distorto.
C'è un'altra lettura rilevante per i comunicatori: Chega ha dimostrato che avere un programma non è sufficiente, è necessario avere una narrazione. Mentre molti partiti continuano a comunicare in modo classico, con gergo politico o messaggi generalisti, Chega parla come se fosse un influencer: diretto, provocatorio, emotivo. E questo trova riscontro nel pubblico che è abituato a fruire dei contenuti in pochi secondi, non in paragrafi.
Questa ascesa non può essere combattuta con il silenzio o il disprezzo, ma con l'intelligenza strategica, il coraggio discorsivo e una comunicazione efficace. La democrazia non si difende solo alle urne, ma anche attraverso il dibattito pubblico, l'educazione e la costruzione di marchi politici che promuovano valori di inclusione, responsabilità e speranza.
Come insegnante che crede nelle nuove generazioni, continuo ad avere speranza. Ma questa speranza deve essere accompagnata dall'azione e da una comunicazione che parli in modo veritiero, ma anche strategico. Perché, sì, anche la democrazia ha bisogno di essere ben comunicata. E tornare a essere un marchio desiderabile.
observador