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Essere, prima di insegnare ad essere

Essere, prima di insegnare ad essere

Non sono un padre. Sono ancora giovane, con più dubbi che certezze, e cerco di capire il mondo e il mio posto in esso. Ma è proprio da questa posizione – di chi osserva, ascolta e riflette – che a volte mi pongo domande profonde: e se un giorno avessi dei figli? Che tipo di persona vorrei aiutarli a diventare?

Non mi riferisco solo al benessere materiale, che naturalmente vorrei offrire. Parlo soprattutto dei valori che vorrei trasmettere, degli atteggiamenti che considererei essenziali e del tipo di mondo in cui vorrei che crescessero.

In questo contesto, credo sia essenziale sottolineare l'importanza di figure genitoriali solide, non intese come perfezione o rigida autorità, ma come riferimenti costanti, coerenti ed emotivamente disponibili. In un mondo sempre più instabile e complesso, i bambini hanno bisogno di adulti che fungano da fondamento, che offrano una guida senza controllo, una presenza senza intrusioni e una sicurezza senza soffocamento. Essere genitori implica, soprattutto, una profonda responsabilità: fungere da specchio ed esempio. Il modo in cui ci posizioniamo nella vita – come affrontiamo gli errori, come esprimiamo affetto, come affrontiamo le sfide – viene inevitabilmente osservato, assorbito e, spesso, riprodotto.

Pur non essendo genitore, credo che la responsabilità dell'educazione inizi molto prima della genitorialità formale: inizia con il modo in cui scegliamo di stare al mondo. Proprio per questo, credo sia essenziale che chi si prende cura dei figli non confonda i propri figli con estensioni di sé stessi. È allettante – spesso senza rendersene pienamente conto – proiettare su di loro i sogni che non abbiamo realizzato, le paure che albergano in noi o i percorsi che riteniamo più sicuri. Tuttavia, amare veramente un figlio significa anche accettare che sia diverso da noi, che abbia i suoi desideri, ritmi diversi e un percorso unico da seguire. Essere solidi, come genitori, richiede il coraggio di offrire una struttura senza limitare e l'umiltà di accompagnare senza imporre.

È con questa consapevolezza, che educare non significa modellare qualcuno su un'immagine, ma dare spazio alla crescita, che definisco il tipo di presenza che vorrei avere nella vita di mio figlio.

Vorrei che i miei figli avessero lo spazio per essere sensibili. Vorrei che non si vergognassero di mostrare le proprie emozioni, che capissero che piangere non è un segno di debolezza e che chiedere aiuto è spesso un atto di coraggio. Vorrei che crescessero in un ambiente in cui l'affetto fosse naturale, non represso o scambiato per debolezza.

Vorrei che fossero curiosi, capaci di porsi domande e di pensare criticamente. Vorrei che non accettassero verità imposte senza confrontarle con la ragione e che considerassero la conoscenza come uno strumento di libertà. Più di una carriera accademica invidiabile, vorrei che avessero sete di conoscenza: sul mondo, sugli altri e su se stessi.

Per me, l'empatia sarebbe un valore non negoziabile. Vorrei che sapessero mettersi nei panni degli altri, ascoltare attentamente, rispettare le differenze e agire con umanità. Vorrei che non fossero indifferenti alle ingiustizie, ma che non portassero il peso del mondo da soli. Cercherei di infondere un equilibrio tra consapevolezza sociale e cura personale.

Soprattutto, volevo che fossero liberi. Liberi di scegliere, di cambiare idea, di seguire la propria strada, anche se diversa da quella che avevo pianificato. Volevo che capissero che gli errori sono parte integrante del processo di crescita e che il fallimento non definisce chi siamo, ma ci insegna solo a perseverare.

Non aspiro a bambini perfetti. Aspiro a bambini consapevoli, retti, attenti a ciò che li circonda e fedeli a se stessi. Esseri umani dotati di senso di responsabilità, ma anche di leggerezza; ambiziosi, ma senza arroganza; coraggiosi, ma anche compassionevoli.

Forse, esprimendo questi desideri, rifletto anche su ciò che io stesso cerco di essere e sulla società in cui vorrei vivere. Perché pensare ai figli che potremmo avere è, in un certo senso, pensare al futuro e, soprattutto, alla speranza che riponiamo in esso.

Se un giorno diventerò padre, che sia con umiltà, ascolto e amore. Perché educare, più che un dovere, è un atto di profondo impegno per il domani.

observador

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